L’ ETA’ DELLA RAGIONE: “NIGHT & DAY” Joe Jackson – 1982

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Il giorno in cui si smette di sentirsi bambini e si capisce di essere entrati nell’età della ragione è il giorno in cui si prova un’ emozione nuova, una sensazione mai percepita prima. Quell’emozione spesso è data da un suono rimasto sconosciuto sino a quel momento, da un qualcosa di inaspettato. Abbandoniamo subito l’idea romantica delle canzonette che accompagnano i primi amori, qui parliamo di suoni che diventeranno compagni di vita, che resteranno nel tempo e non avranno il volto fugace delle passioni passeggere.
Uno degli album capaci di traghettarci nell’ascolto adulto è Night & Day di Joe Jackson, uscito nel lontano 1982. Questo spilungone pallido non ha una voce di quelle che fanno venire la pelle d’oca, né tanto meno è un damerino imbellettato dai vestiti appariscenti come già se cominciano a vedere agli albori degli anni 80, ma è un distinto gentiluomo inglese che si rimbocca le maniche per lavorare come un vero cesellatore della musica. Sonorità alte e dense di atmosfere che richiamano il jazz più sofisticato, influenze etniche di varia provenienza geografica e buon sano rock targato Great Britain, ecco come si presenta il nostro gentleman. Non strizza l’occhio alle comode ispirazioni commerciali che dilagano in quel periodo, ma semplicemente mostra, e offre, ciò che sa, ovvero quanto appartiene al suo bagaglio di cultura musicale che certo non è fatto di canzonette.
Quando si parla di musica colta molti pensano ad un sound difficile , complicato, ad un ascolto che richiede partecipazione ed attenzione, ma non è questo il caso di Night & Day dove, ogni singola traccia, risulta facile all’orecchio come qualsiasi altro brano che passa in radio all’ora di punta, e sa essere catchy proprio come le canzoni che ascoltiamo in macchina la sera. Eppure s’intuisce che ogni singolo brano è stato concepito con una raffinatezza morbida, non distaccata, frutto di estrema cura dei dettagli, di lungo e meticoloso lavoro.
Jackson scrive nelle note di copertina che l’album è stato interamente scritto e realizzato a New York, a testimonianza della sua immersione totale in quella cultura americana che va dai crooner degli anni 50 al jazz più erudito. Cultura che riesce a far sua anche se per nascita non gli appartiene, e vince la sfida, producendo musica ancora straordinariamente attuale malgrado siano trascorsi ormai più di trent’anni. Anche perché oltre alle straordinarie capacità compositive e di abile strumentista Jackson è autore di testi colmi di significato. E tratta temi forti, fa dichiarazioni contro corrente, usa parole politicamente scorrette. Non ha paura di parlare di omosessualità, di discriminazione razziale, di cancro, dei falsi miti che propina la TV, delle sub-culture che serpeggiano nelle metropoli, delle scelte salutistiche dettate dalla moda del momento. La TV ci domina – scrive – ben presto non sapremo più come spegnerla. In che anno siamo? Non è cambiato poi molto… Ed infine, a chiusura del lato B (eravamo ancora nel secolo del vinile), un vero inno alla sua fedele compagna di vita: A slow song, con cui ci spiega come la musica possa diventare una savage beast in mano a degli incapaci. Niente sconti, lo spilungone non fa il simpatico, né cerca di essere accomodante. E tanto peggio per chi si offenderà.

Articolo pubblicato su withoutmusicians.it in data 21/04/2016